Questo fenomeno è molto comune superata una certa età ed è un fastidio che molti di noi conoscono bene.
Con l’avanzare dell’età, nei follicoli piliferi umani si assiste a un progressivo esaurimento delle cellule staminali melanocitarie (McSCs), responsabili della produzione di melanina, il pigmento che dà colore al capello. Queste cellule, normalmente mantenute in uno stato indifferenziato nel “bulge” del follicolo, perdono col tempo la capacità di rinnovarsi e migrare verso il bulbo pilifero, dove differenziarsi in melanociti cortigionali produttori di pigmento. Una volta esaurite le riserve di McSCs, i nuovi capelli crescono privi di melanina e appaiono bianchi o grigi.
Esiste la possibilità che, per fattori genetici, questi meccanismi si attivino non in età avanzata, ma anche in giovane età (20-30 anni). Quindi non è raro vedere giovani umani con i capelli brizzolati.
I capelli bianchi sono una caratteristica solo umana?
Osservazioni negli animali
Anche in diverse specie animali si verifica un fenomeno analogo. Nei grandi primati, ad esempio, studi su scimpanzé hanno dimostrato che la comparsa di peli argentati non sempre correla linearmente con l’età (proprio come negli umani) e tende a stabilizzarsi in età adulta, rendendo l’ingrigimento un cattivo predittore dell’età negli esemplari di scimpanzé.
Altre specie, come cani e gorilla, possono manifestare ingrigimento in tarda età, segno del “wear and tear” cellulare tipico di un lungo ciclo vitale.
Fattori molecolari e stress ossidativo
Oltre al semplice “uso” delle cellule staminali, l’accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nei follicoli piliferi sovraccarica i meccanismi antiossidanti, danneggiando sia i melanociti che le cellule epiteliali del bulbo. Questa “stress ossidativo” può essere innescato da raggi UV, infiammazione, fumo o persino stress emotivo, contribuendo all’esaurimento prematuro delle McSCs. In alcuni casi è stato osservato un parziale recupero di pigmentazione dopo stimoli specifici, suggerendo che melanociti “dormienti” possano essere riattivati.
Prospettiva evolutiva
Secondo le principali teorie evolutive dell’invecchiamento – mutazione-accumulazione, pleiotropia antagonista e soma usa-e-getta – la selezione naturale ha scarso “interesse” a mantenere la funzionalità delle cellule staminali nei decenni post-riproduttivi, quando la fitness individuale non è più direttamente legata alla riproduzione. Di conseguenza, mutazioni dannose che si manifestano solo in tarda età tendono ad accumularsi (mutazione-accumulazione) e geni che favoriscono la riproduzione precoce, pur avendo effetti negativi successivi, possono essere selezionati (pleiotropia antagonista). L’ingrigimento appare quindi più un “sottoprodotto” inevitabile dell’invecchiamento cellulare che un tratto selezionato per un vantaggio riproduttivo o sociale.
L'albinismo
Oltre all’ingrigimento legato all’età, esiste un fenomeno genetico distinto chiamato albinismo, caratterizzato da un’assenza o da una forte riduzione della sintesi di melanina nei melanociti. Nell’albinismo oculocutaneo (OCA), mutazioni autosomiche recessive in geni chiave — come TYR (OCA1), OCA2, TYRP1 (OCA3) e altri — compromettono la produzione o la maturazione dei melanosomi, determinando capelli, pelle e iridi molto chiare, oltre a problemi visivi (fovea ipoplasica, nistagmo). Questa condizione è osservata in numerose specie animali oltre all’uomo, dagli uccelli ai mammiferi marini, dove analoghe mutazioni nei geni della via della melanogenesi producono individui “albinotici” dal mantello completamente bianco o dal piumaggio scarso di pigmento.
Fonti: