Negli ultimi quindici anni, lo studio del DNA antico (aDNA) ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’aspetto e della variabilità delle popolazioni mesolitiche europee, composte ancora da cacciatori-raccoglitori nomadi. 

Il Mesolitico (dal greco mesos, "medio", e lithos, "pietra") è un periodo della preistoria umana collocato cronologicamente tra il Paleolitico Superiore (o Epipaleolitico in alcune regioni) e il Neolitico. Rappresenta una fase cruciale di adattamento caratterizzata da trasformazioni ambientali radicali e conseguenti risposte socio-economiche e tecnologiche da parte delle società di cacciatori-raccoglitori. 

Coincide con la fine dell'Ultimo Massimo Glaciale (circa 20.000 anni fa) e l'inizio dell'Olocene (circa 11.700 anni fa). È segnato dal drastico riscaldamento climatico, dal ritiro delle calotte glaciali, dall'innalzamento del livello del mare e dalla trasformazione degli ecosistemi: le steppe aperte del Tardo Glaciale lasciano il posto a foreste decidue dense (quercia, nocciolo, olmo, tiglio) in Europa e ad altri biomi complessi a livello globale. Questi cambiamenti hanno un impatto profondo sulla fauna disponibile (declino dei grandi erbivori migratori come renne e mammut, aumento di specie forestali come cervo, cinghiale, bovini selvatici). 

Slatkin & Racimo, “Ancient DNA and human history”, 

https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.1524306113

Keiko Kitagawa, Marie‑Anne Julien & Oleksandra Krotova, "Glacial and post‑glacial adaptations of hunter‑gatherers: Investigating the late Upper Paleolithic and Mesolithic subsistence strategies in the southern steppe of Eastern Europe Quaternary International", 465 (2017), pp. 302–317.

DOI: https://doi.org/10.1016/j.quaint.2017.01.005


Le date variano significativamente per regione, riflettendo le diverse velocità dei cambiamenti climatici e culturali:

Europa Nord-Occidentale: Inizia circa 11.700 anni fa (inizio Olocene) e termina con l'arrivo dell'agricoltura (tra 8.000 e 5.500 anni fa, a seconda dell'area).

Medio Oriente: Sovrapposto parzialmente al periodo Natufiano (spesso considerato Epipaleolitico Finale o "Proto-Neolitico"), con transizione più precoce verso il Neolitico.

Altre Regioni: Periodizzazioni analoghe sono riconosciute in Asia, Africa e Americhe, spesso con termini specifici ("Periodo Arcaico" nelle Americhe).

Il Mesolitico non è un semplice "intermezzo", ma un periodo dinamico di profondo riadattamento culturale ed economico delle società di cacciatori-raccoglitori alle drammatiche trasformazioni ambientali post-glaciali. È caratterizzato da innovazioni tecnologiche chiave (microliti), diversificazione e intensificazione dello sfruttamento delle risorse (economia ad ampio spettro), tendenze verso una maggiore stabilità insediativa e complessità sociale e rituale, che in molte regioni hanno posto le basi per le successive transizioni neolitiche. 

Erlend K. Jørgensen, Petro Pesonen & Miikka Tallavaara

"Climatic changes cause synchronous population dynamics and adaptive strategies among coastal hunter‑gatherers in Holocene northern Europe Quaternary Research", 108 (2020), pp. 48–63.

DOI: https://doi.org/10.1017/qua.2019.86

Zeder M. A. "The Origins of Agriculture in the Near East". Current Anthropology 52 (Supplement 4), S221–S235 (2011).

DOI: https://doi.org/10.1086/659307

Ma che aspetto avevano questi cacciatori-raccoglitori che vivevano su quello che sarebbe divenuto poi il territorio europeo?

Contrariamente alla visione tradizionale di cacciatori-raccoglitori pallidi, le analisi genomiche hanno rivelato individui con pelle molto scura e occhi azzurri, dimostrando come le caratteristiche fenotipiche si siano evolute in modo complesso e differenziato. 

Durante il Mesolitico europeo (tra 11.700 e 5.500 anni fa), le popolazioni di cacciatori‑raccoglitori nomadi mostravano un profilo fenotipico sorprendentemente eterogeneo, con frequenti combinazioni di pelle scura fin quasi al nero e occhi chiari. 

Da cosa è determinato il colore della pelle e degli occhi? 

I colori della pelle, degli occhi e dei capelli sono fenotipi complessi con eredità poligenica. Tutti dipendono dalle diverse quantità, tipo e distribuzione di due pigmenti, eumelanina (marrone-rosso) e feomelanina (marrone-giallo), prodotti dai melanociti umani. Le iridi blu e verdi non sono dovute a pigmenti oculari aggiuntivi, ma alla dispersione della luce causata dalla densità cellulare variabile dello stroma corneale (è la componente principale della cornea e costituisce circa il 90% del suo spessore conferendole  forma e resistenza ed è formato principalmente da acqua e collagene). 

Sturm & Larsson, “Genetics of human iris colour and patterns”, Pigment Cell Melanoma Res. 2009. https://doi.org/10.1111/j.1755-148X.2009.00606.x

A cosa è dovuta la differente pigmentazione della pelle? 

Non vi è dubbio che l'epidermide dei primi ominini fosse ricoperta di peli e leggermente pigmentata. L'esposizione alla luce solare induce la fotolisi (degradazione) del folato, una molecola essenziale nella sintesi del DNA e nella proliferazione cellulare; poiché la protezione dei peli è andata perduta nel corso dell'evoluzione, vi sono prove di una selezione selettiva a favore di alleli che renderebbero la pelle più scura. Al contrario, i colori chiari della pelle promuovono la sintesi di vitamina D controllata fotochimicamente. Quando il genere Homo si diffuse verso nord dall'Africa all'Eurasia, il regime di selezione cambiò e emersero fenotipi più chiari. In entrambe le fasi la radiazione UV sembra l'agente selettivo più probabile. 

Con la migrazione degli ominidi fuori dai tropici, si sono evoluti vari gradi di depigmentazione per consentire la sintesi di previtamina D3 indotta dai raggi UVB. Il colore più chiaro della pelle femminile potrebbe essere necessario per consentire la sintesi di quantità relativamente maggiori di vitamina D3 necessarie durante la gravidanza e l'allattamento. 

I geni coinvolti nella pigmentazione della pelle sono una settantina. 

Jones et al., “The Vitamin D–Folate Hypothesis as an Evolutionary Model for Skin Pigmentation”, Nutrients 2018. https://doi.org/10.3390/nu10050554

Lucock et al., “Biophysical evidence to support and extend the vitamin D–folate hypothesis”, Am. J. Hum. Biol. 2022. https://doi.org/10.1002/ajhb.23667

Nina G. Jablonski, George Chaplin, "The evolution of human skin coloration", Journal of Human Evolution, Volume 39, Issue 1, 2000, Pages 57-106, ISSN 0047-2484, https://doi.org/10.1006/jhev.2000.0403


Il Genoma Mesolitico di La Braña (Spagna) 

Uno degli studi più emblematici è quello condotto da Carles Lalueza‑Fox et al., che ha sequenziato completamente il genoma di un individuo maschile rinvenuto nel 2006 nel sito di La Braña‑Arintero (León, Spagna), datato a circa 7.000 anni fa. I risultati hanno mostrato che l’individuo portava “alleli ancestrali” nei principali loci associati alla pigmentazione cutanea, suggerendo una pelle molto scura, probabilmente più scura rispetto alla media dei moderni Mediterranei.

Presentava anche la variante rs12913832 in HERC2/OCA2, responsabile degli occhi azzurri, già diffusa tra i cacciatori‑raccoglitori pre‑agricoli.

Erano presenti numerosi alleli “derivati” legati alla resistenza a patogeni, indicativi di pressioni selettive pre‑agricole su geni del sistema immunitario. 

Lalueza‑Fox et al., “Derived immune and ancestral pigmentation alleles in a 7,000‑year‑old Mesolithic European”, Nature 2014. https://doi.org/10.1038/nature12960

 

La ragazza di Syltholm

Lola, la ragazza di Syltholm, una danese del neolitico europeo vissuta 5.700 anni fa sull’isola di Syltholm, in Danimarca, nel periodo di transizione da caccia-raccolta ad agricoltura, ci rivela il suo genoma da un "chewing gum" un piccolo pezzo di pece di betulla (vedi foto) che aveva masticato. 


  Il "chewing gum" di pece di betulla © Tom Bjorklund 

Lola era anche intollerante al lattosio, un’osservazione che conferma la teoria secondo la quale la presenza della lattasi negli adulti è avvenuta abbastanza recentemente in Europa, dopo l’avvento della produzione casearia. 

I ricercatori, guidati da Hannes Schroeder dell’Università di Copenaghen, nel 2019 hanno pubblicato un articolo su Nature in cui hanno spiegato:

"Per predire il colore dei suoi capelli, occhi e pelle abbiamo imputato i genotipi per 41 SNP inclusi nel sistema HIrisPlex-S e abbiamo scoperto che probabilmente aveva pelle scura, capelli castano scuro e occhi azzurri". 

Schroeder et al., “Origins and genetic legacy of prehistoric dogs”, Nature Communications 2019. https://doi.org/10.1038/s41467-019-13549-9 


Cheddar Man

L'antico DNA dell'Uomo di Cheddar, uno scheletro del mesolitico scoperto nel 1903 nella grotta di Gough a Cheddar Gorge, nel Somerset, ha aiutato gli scienziati del Natural History Museum a tracciare un ritratto di uno degli esseri umani moderni più antichi della Gran Bretagna, e crearne un modello realistico con la collaborazione degli artisti olandesi Alfons e Adrie Kennis.

L'uomo di Cheddar visse circa 10.000 anni fa ed è il più antico scheletro quasi completo della nostra specie, Homo sapiens, mai rinvenuto in Gran Bretagna.

La ricerca sul DNA antico estratto dallo scheletro ha aiutato gli scienziati a ricostruire l'aspetto dell'Uomo di Cheddar (vedi foto) e della sua vita nella Britannia mesolitica.

Cheddar Man risulta portatore di un fenotipo con pelle “dark to black” (da scuro a nero) e occhi azzurri, confermato da analisi genomiche di tipo forense sul DNA estratto dallo scheletro completo.

La variante rs12913832 (HERC2/OCA2) si ritrova già in più individui mesolitici, suggerendo che la predisposizione agli occhi chiari si diffuse tra i cacciatori‑raccoglitori circa nel 10.000 a.C., prima dell’avvento dell’agricoltura. 

Natural History Museum, Cheddar Man FAQ, UCL & NHM, 2018.

https://www.nhm.ac.uk/our-science/research/projects/human-adaptation-diet-disease/cheddar-man-faq.html 


Mos'anne la “Donna di Margaux” 

Recentemente un’équipe dell’Università di Ghent, anch'essi in collaborazione con gli artisti olandesi Alfons e Adrie Kennis, ha ricostruito il volto di una donna vissuta circa 10.500 anni fa nella regione della Meuse (Belgio). Basandosi su DNA estratto da uno dei resti ossei trovati nelle grotte di Margaux, nel 1988, è emerso che aveva occhi chiari (probabilmente azzurri o verdi) e la pelle di tono medio‑scuro rispetto allo standard attuale europeo.

Caratteristiche craniofacciali combinate con dati anatomici per un ritratto realistico (vedi foto), confermano la variabilità fenotipica già a inizio Mesolitico. 

Van Neer et al., “Face to Face with Prehistory: Mos’anne”, LiveScience 2025. https://www.livescience.com/archaeology/see-the-stunning-reconstruction-of-a-stone-age-woman-who-lived-10-500-years-ago-in-belgium 


Il 12 febbraio 2025 un'équipe italiana dell’Università di Ferrara, di cui fa parte anche il genetista Guido Barbujani, ha pubblicato in pre-print su "BioRXiv" l'articolo "Inference of human pigmentation from ancient DNA by genotype likelihood". Il team di ricerca, guidato da Silvia Perretti ha sequenziato il DNA antico (aDNA) estratto da 348 individui rinvenuti in siti sparsi tra la Penisola Iberica, la Scandinavia, le Isole Britanniche e l’Europa centrale, coprendo un arco cronologico che va dal Paleolitico superiore (ca. 45.000 a.C.) fino all’Età del Ferro (ca. 1.500 a.C.).

Hanno utilizzato sequenziamento shotgun ad alta copertura per mappare le regioni genomiche coinvolte nella pigmentazione cutanea (in particolare i loci SLC24A5 e SLC45A2) e in quella degli occhi e dei capelli.

Il confronto diretto tra genotipi antichi e moderni ha permesso di stimare le frequenze alleliche nel tempo, grazie a modelli di analisi bayesiana e metodi probabilistici di imputazione. 

Nei Mesolitico–Neolitico (10.000–4.500 a C.) più del 90% degli individui portava le varianti ancestrali di SLC24A5 e SLC45A2, associate a pelle scura e olivastra.

Anche tra i primi agricoltori neolitici anatolici (ca. 7.000–6.000 a.C.) la pigmentazione rimaneva scura in buona parte dei campioni, sebbene con lieve aumento di varianti “chiare” rispetto ai cacciatori‑raccoglitori precedenti.

Le versioni “light skin” (pelle chiara) di SLC24A5 (allele A111T) e di SLC45A2 erano praticamente assenti o molto rare fino al Bronzo antico (4.500–3.000 a.C.).

Il loro incremento importante coincide con le migrazioni dei pastori delle steppe (cultura Yamnaya, ca. 3.300–2.500 a.C.) e con l’accresciuta selezione per il metabolismo della vitamina D alle alte latitudini; tuttavia, solo dopo il 2.000 a.C. questi alleli raggiungono frequenze comparabili a quelle odierne nelle popolazioni europee occidentali e settentrionali.

Nell'Europa meridionale e orientale: la pigmentazione scura persiste più a lungo — fino all’Età del Ferro (1.500–1.000 a.C.) circa il 60–70% dei campioni mostrava ancora alleli ancestrali. 

Nell'Europa settentrionale e centrale: aumento progressivo di alleli light già nel Bronzo medio (3.000–2.000 a.C.), ma con punte di pelle scura residuale fino all'Età del Ferro. 

Studi sul DNA antico datano il picco di frequenza di alleli della pelle chiara tra la fine del Neolitico e l’Età del Bronzo (circa 2.000 a.C.), quando la pelle chiara diventa ormai dominante nelle popolazioni europee occidentali. 

Allentoft, M., Sikora, M., Sjögren, KG. et al. Genomica di popolazione dell'Eurasia dell'età del bronzo. Nature 522 , pp. 167–172 (2015). https://doi.org/10.1038/nature14507

Nei millenni pre‑agricoli, una dieta ricca di pesci grassi, molluschi e carni di mammiferi marini forniva abbondante vitamina D, attenuando la necessità di pelle chiara per la fotoproduzione cutanea di questa vitamina.

Con l’insediamento agricolo, il maggior consumo di cereali (poveri di vitamina D) ha creato una pressione selettiva crescente a favore degli alleli che migliorano l’assorbimento UV per la sintesi di vitamina D, soprattutto alle latitudini nordiche.

L’articolo ribalta l’idea tradizionale di una pelle chiara “innata” per i primi europei: essa appare come un adattamento tardivo, maturato in modo graduale tra il Bronzo e il Ferro (3.000–1.000 a.C.) grazie all’interazione tra migrazioni, selezione ambientale e cambiamenti dietetici. Il gene SLC24A5 (allele A111T) della pelle chiara, appare in popolazioni anatoliche già nel 9.000 a.C., ma resta raro in Europa occidentale fino al periodo Calcolitico (circa 4.500 a.C.). In questo scenario, la pigmentazione scura si conferma il fenotipo ancestrale prevalente per oltre 40.000 anni, fino al tardo Neolitico–Calcolitico. 

Perretti et al., “Inference of human pigmentation from ancient DNA by genotype likelihood”, bioRxiv 2025. https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2025.01.29.635495v2.full 


Timeline Sintetica

10.500–7.000 a.C.: ampio spettro fenotipico tra cacciatori‑raccoglitori (pelle molto scura + occhi azzurri).

6.500 a.C.: arrivo dei primi agricoltori anatolici, primi alleli “light skin” (pelle chiara).

5.000–3.000 a.C.: ondata dei pastori delle steppe (Yamnaya), accelerazione della diffusione di SLC24A5/SLC45A2.

2.000 a.C. – oggi: affermazione della pelle chiara predominante nel panorama europeo moderno.


Questo complesso intreccio di migrazioni, pressioni selettive e variazioni dietetiche spiega perché la pelle chiara europea sia un tratto relativamente “giovane”, mentre la variante per gli occhi chiari affonda le sue radici nei primi cacciatori‑raccoglitori mesolitici. 

La colorazione della pelle negli esseri umani è adattiva e labile. I livelli di pigmentazione della pelle sono cambiati più di una volta nel corso dell'evoluzione umana. Per questo motivo, la colorazione della pelle non ha alcun valore nel determinare le relazioni filogenetiche tra i gruppi umani moderni. 


Credits immagini: 

Uomo di La Braña - Ana Bonilla Alonso

Lola, la ragazza di Syltholm - Tom Björklund 

Cheddar Man - Tom Barnes/Channel 4 

Mos'anne, la Donna di Margaux - Kennis & Kennis Ricostruzioni


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