Nel cuore fumante di Hiroshima e Nagasaki, dove l’aria si fece improvvisamente incandescente e il fragore dell’esplosione sembrò inghiottire il respiro del mondo, alcuni silenziosi testimoni vegetali resistettero alla furia distruttiva dell'atomica: gli Hibakujumoku, letteralmente «alberi-bombardati», che sfidarono la furia atomica per risorgere dalle proprie radici e dai loro tessuti danneggiati, incarnando un coraggio silenzioso e radicato nella terra stessa. 

Anche a pochi centinaia di metri dall’ipocentro — dove il calore iniziale superò di quaranta volte l’irraggiamento solare e le dosi di radiazione raggiunsero i 240 Gray (Gy) — alcune piante, private dei rami e in parte della corteccia, trovarono la forza di germogliare ancora. Per un essere umano adulto sano, la dose che causa il decesso del 50% dei soggetti entro 60 giorni (LD₅₀/₆₀) è di circa 4 Gy, con stime che oscillano tra 3 e 5 Gy in assenza di trattamenti medici avanzati.

Le analisi dendrocronologiche e i rilievi sul campo condotti da Barnaby e Holdstock indicano come furono soprattutto le specie a latifoglia, dotate di riserva di nutrienti nei tessuti sotterranei, a sopravvivere e a mostrare rapida rigenerazione nei mesi successivi all’esplosione.

Le ricerche successive, raccolte in database internazionali come quello del Programma delle Nazioni Unite per la Formazione (UNITAR), hanno censito oggi oltre 160 esemplari sopravvissuti ad Hiroshima e una cinquantina a Nagasaki, testimoni viventi di un evento che ha mutato per sempre la storia umana. Tra questi, il Salice piangente (Salix babylonica) e la Robinia (Robinia pseudoacacia) primeggiano per longevità, mentre l’Oleandro (Nerium indicum) — nominato fiore ufficiale di Hiroshima — incarna la tenacia nella capacità di riemettere gemme da corteccia e radici compromesse. 


Ecco un elenco (non esaustivo) delle specie identificate come Hibakujumoku sui luoghi devastati dall'atomica:

Salice piangente (Salix babylonica)

Robinia (Robinia pseudoacacia)

Albero dei rosari (Melia azedarach var. japonica)

Fico (Ficus sp.)

Bambù (tribù Bambuseae)

Azalea (Rhododendron sp.)

Palma di Fortune (Trachycarpus fortunei)

Oleandro (Nerium indicum)

Euonymus del Giappone (Euonymus japonicus)

Agrifoglio giapponese (Ilex rotunda)

Aralia giapponese (Fatsia japonica)

Nettle tree (Celtis sinensis var. japonica)

Albero della canfora (Cinnamomum camphora)

Elaeagnus pungens (Elaeagnus pungens)

Cachi giapponese (Diospyros kaki)

Eucalipto (Eucalyptus melliodora)

Salice a grandi foglie (Salix chaenomeloides)

Catalpa meridionale (Catalpa bignonioides)

Cycas (Cycas revoluta)

Peonia albero (Paeonia suffruticosa)

Neolitsea sericea (Neolitsea sericea)

Ciliegio Yoshino (Prunus × yedoensis)

Mirto crespo (Lagerstroemia indica)

Ginkgo (Ginkgo biloba)

Platano orientale (Platanus orientalis)

Albero parasole cinese (Firmiana simplex)

Pino nero giapponese (Pinus thunbergii)

Muku tree (Aphananthe aspera)

Giuggiolo (Ziziphus jujuba)

Prunus mume (albicocco giapponese) var. purpurea

Amanatsu (Citrus natsudaidai)

Tabunoki (Persea thunbergii)

Tiglio giapponese (Tilia miqueliana)

Camelia giapponese (Camellia japonica)

Cotogno giapponese (Chaenomeles speciosa)

Ginepro cinese (Juniperus chinensis)

Giglio di mare (Crinum sp.)

Elenco derivato dal database UNITAR “Hibaku Jumoku: Atomic‑Bombed Trees of Hiroshima” e da Green Legacy Hiroshima. 

https://docslib.org/doc/5049948/database-of-hibaku-jumoku-atomic-bombed-trees-of-hiroshima


Dal punto di vista botanico, la sopravvivenza di queste piante dipende da due fattori chiave: lo spessore della corteccia e la modularità del sistema vascolare, che consente al legno profondo di preservare tessuti meristematici vitali anche in seguito a danni superficiali. Queste caratteristiche, evolutesi per far fronte a incendi e predazioni, si rivelarono decisive anche contro la guerra nucleare, mettendo in luce l’ingegneria naturale alla base della resilienza vegetale.

Negli ultimi anni, l’associazione Green Legacy Hiroshima ha raccolto semi e talee dagli Hibakujumoku per diffondere nel mondo non solo nuovi alberi, ma un messaggio di pace e speranza. Dai giardini di Seattle alle aule delle scuole australiane, giovani piantine di Ginkgo biloba, Cinnamomum camphora e Aphananthe aspera portano con sé un frammento di storia e un invito a coltivare la memoria condivisa dell’umanità.

La letteratura scientifica che indaga gli Hibakujumoku, integrando metodologie di radiobiologia, ecologia urbana e storia delle tecnologie belliche, ci ricorda che la vita, anche schiantata dalla violenza più estrema, può rinascere «tra le rovine», dando voce alle foglie e ai tronchi in un racconto che mai si deve dimenticare.

Il termine Hibakujumoku (被爆樹木), letteralmente “alberi colpiti dalla bomba”, è in realtà molto più di una semplice etichetta botanica: è una scelta «politica» e memoriale che riflette il ruolo unico di questi organismi nella coscienza collettiva e nella storia del Novecento. 

Ecco perché non ci si limitò a definirli “sopravvissuti”.

La parola giapponese hibaku (被爆) significa “essere colpito da una bomba atomica”: mette in chiaro che l’albero non ha soltanto vissuto, ma ha subito direttamente l’impatto e le radiazioni. 

“Sopravvissuto” è un termine generico, che non richiama immediatamente la specificità di Hiroshima e Nagasaki né la straordinarietà della loro esperienza di esposizione a dosi letali di calore e radiazioni.

Alberi come testimoni viventi. 

Definirli Hibakujumoku li trasforma da semplici superstiti a testimoni (“witness trees”), custodi di memoria: ogni anello di crescita porta traccia dell’anno zero dell’era atomica.

In molte culture, gli alberi sono simboli di continuità e resilienza; chiamarli in modo specifico enfatizza il loro ruolo di ponte tra passato e futuro, un monito vivo contro l’uso delle armi nucleari.

Distinzione rispetto all’umano “sopravvissuto”. 

Le persone sopravvissute all’esplosione – gli hibakusha (被爆者) – hanno subito danni biologici e sociali di enorme portata. Per rispetto della loro sofferenza, il termine “sopravvissuto” è riservato a loro in ambito medico, legale e di indennizzo.

Gli alberi mancano di coscienza e diritti sociali: chiamarli “sopravvissuti” rischierebbe di equiparare una sofferenza umana, con tutte le sue implicazioni etiche, a un fenomeno puramente biologico.

Precisione scientifica e culturale. 

Nella dendrocronologia e nella radiobiologia si preferisce un toponimo che includa il tipo di trauma subito: “Hibakujumoku” definisce sia il meccanismo di danno (esplosione atomica) sia la testimonianza che l’albero fornisce a posteriori.

La terminologia giapponese rispetta la sensibilità culturale locale, valorizzando la narrativa di pace e rinascita attorno a questi green monuments.

Proprio perché non sono “solo sopravvissuti”, ma “alberi colpiti” che hanno rigenerato vita laddove imperava il nulla, il termine Hibakujumoku diventa esso stesso un messaggio di resilienza e di pace.

Associandoli in modo esplicito agli eventi atomici, ogni volta che se ne parla si rinnova l’impegno a non ripetere quell’orrore.

In sintesi, Hibakujumoku non è un eufemismo né un puro tecnicismo: è la denominazione che meglio cattura la doppia valenza di testimonianza storica e miracolosa rinascita biologica, distinguendo il loro destino da quello, sofferto e prevenuto dalla sofferenza umana, dei “sopravvissuti”. 

In ambito ecologico e botanico il termine resilienza è non solo appropriato, ma anzi essenziale per descrivere la fenomenologia degli Hibakujumoku. 

Il concetto classico, introdotto da C. S. Holling, definisce la resilienza come «la capacità di un sistema di assorbire disturbi e riorganizzarsi mantenendo le stesse funzioni, strutture, identità e feedback» (Holling, 1973). Gli Hibakujumoku, pur sottoposti a forze distruttive estreme (calore, pressione e radiazioni), hanno rigenerato tessuti vitali e ripristinato la propria architettura vascolare, ricadendo perfettamente in questa definizione.

Resilienza vs. resistenza

– Resistenza indica la capacità di evitare danno: molti alberi morirono istantaneamente.

– Resilienza indica invece la capacità di recupero dopo il danno: gli Hibakujumoku hanno perso rami e corteccia, ma hanno attivato meccanismi di rigenerazione (cambio di accrescimento nei meristemi, formazione di germogli epicormici). Questo è il cuore della resilienza vegetale (Gratani, 2014).


I processi di resilienza includono:

Ridirezionamento del flusso di nutrienti dai tessuti sani verso i meristemi sopravvissuti;

Attivazione di geni di riparazione del DNA e di compartimenti radicali meno esposti alla radiazione;

Produzione di composti antiossidanti che limitano il danno ossidativo indotto dai radicali liberi generati dalle radiazioni.

Questi adattamenti, ampiamente studiati in specie di latifoglie sopravvissute ai danni da incendio e gelo, sono speculari a quanto osservato negli Hibakujumoku.

Usare “resiliente” per questi alberi trasmette non solo l’aspetto biologico, ma anche il messaggio simbolico di “ripresa” dopo la catastrofe, rafforzando l’eredità di pace che Green Legacy Hiroshima vuole diffondere.

Resiliente descrive esattamente la capacità degli Hibakujumoku di superare un evento estremo, rigenerando funzioni e struttura: è un termine evocativo della loro valenza simbolica. 


Fonti: 

Y. D. Bar-Ness, Hibaku: The Witness Trees of Hiroshima, UNITAR, 2014. 

https://unitar.org/sites/default/files/uploads/hibaku_trees_of_hiroshima_-by_yd_bar-ness_-_asian_geographic_-_nov14.pdf


https://it.scribd.com/document/374022756/ICRP-103-the-2007-Recommendations-of-the-Interenational-Commission-on-Radiological-Protection


M. Petersen, M. Conti, “Species and location of trees determined the survival of trees after war in both cities”, ResearchGate, 2016. 

https://www.researchgate.net/publication/313700535_Hibaku_trees_of_Hiroshima


“Saplings Grown From Seeds of Trees That Survived Hiroshima Bombing Model Resilience”, Davidson College News, 25 aprile 2024. 

https://www.davidson.edu/news/2024/04/25/seeds-change-saplings-grown-seeds-trees-survived-hiroshima-bombing-model-resilience


Green Legacy Hiroshima, “Greening Atomic Bomb Survivor Trees: Ecological Literacy”, Asian Network Exchange, 2019. 

https://www.asianetworkexchange.org/article/id/7865/


Holling, C. S. (1973). Resilience and Stability of Ecological Systems. Annual Review of Ecology and Systematics, 4, 1–23.


Gratani, L. (2014). Plant phenotypic plasticity in response to environmental factors. Advances in Botanical Research, 68, 95–120.


Barnes, B. V., Zak, D. R., Denton, S. R., & Spurr, S. H. (2005). Forest Ecology (4th ed.). Wiley.


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